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Il caso: trasformazioni su terreno agricolo e ordinanza di demolizione

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6941/2025, si è pronunciato su un caso riguardante un’ordinanza comunale di demolizione per opere realizzate senza titolo edilizio su un terreno agricolo vincolato.
La vicenda affronta temi centrali del diritto urbanistico: la qualificazione delle opere come nuova costruzione, la responsabilità del proprietario e del detentore del bene, e l’eventuale ricorso alla SCIA per interventi minori.

Il fondo agricolo era stato trasformato con un piazzale in asfalto e ghiaia, prefabbricati metallici, container, serre e recinzioni. Secondo i proprietari e la società utilizzatrice del terreno, si trattava di strutture precarie e temporanee, non soggette a permesso di costruire.


La decisione del TAR e l’appello al Consiglio di Stato

Il TAR aveva respinto il ricorso, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione. Il giudice amministrativo aveva infatti rilevato che le opere comportavano una modifica sostanziale della destinazione d’uso del terreno agricolo e che la responsabilità ricadeva anche sul proprietario, indipendentemente dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Gli appellanti si sono rivolti al Consiglio di Stato sostenendo che:

  • le opere fossero precari manufatti e non vere costruzioni;

  • fosse sufficiente una SCIA e non un permesso di costruire;

  • la società detentrice non potesse essere destinataria dell’ordinanza di demolizione non essendo proprietaria del terreno.

Tutti i motivi di appello sono stati respinti.


Piazza, prefabbricati e serre: quando servono il permesso di costruire

Il Consiglio di Stato ha chiarito che tutte le opere realizzate sul terreno rientrano nella categoria della nuova costruzione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e) del D.P.R. 380/2001.

Il piazzale

Il piazzale, pur privo di edifici in senso stretto, comporta una trasformazione permanente del suolo.
L’art. 3, comma 1, lett. e.3), considera costruzione la realizzazione di infrastrutture o impianti che trasformano in modo durevole un terreno inedificato.
La trasformazione è “permanente” non perché irreversibile, ma perché destinata a un uso continuativo e non occasionale. Anche l’impiego di materiali inerti o asfaltature richiede autorizzazioni specifiche, per evitare rischi ambientali e garantire la compatibilità con la destinazione agricola.

I manufatti leggeri

Prefabbricati, serre e container, anche se semplicemente appoggiati al suolo, costituiscono interventi di nuova costruzione se destinati a un uso prolungato.
L’art. 3, comma 1, lett. e.5), include tra le nuove costruzioni i manufatti leggeri o prefabbricati utilizzati come depositi, magazzini o ambienti di lavoro, salvo che siano installati per esigenze temporanee.
Nel caso in esame, non risultava alcuna temporaneità: le strutture erano impiegate in modo continuativo per attività produttive.
Di conseguenza, era necessario il permesso di costruire.


Responsabilità del proprietario e della società detentrice

Il Consiglio di Stato ha confermato che anche una società detentrice di fatto del terreno può essere legittimamente destinataria di un’ordinanza di demolizione, poiché la disponibilità materiale dell’immobile comporta corresponsabilità nell’abuso edilizio.
Tuttavia, anche se tale responsabilità non fosse provata, l’ordinanza resterebbe valida nei confronti del proprietario, tenuto al ripristino dello stato dei luoghi.


SCIA o permesso di costruire? I limiti della semplificazione

Gli appellanti avevano invocato le norme regionali (L.R. 1/2005) che consentono la SCIA per taluni interventi, come riempimenti di terreno o opere temporanee.
Il Consiglio di Stato ha tuttavia rilevato che tali disposizioni si riferiscono solo a interventi minori e non edilizi, o a mutamenti di destinazione d’uso consentiti dagli strumenti urbanistici.

Nel caso esaminato, il piazzale e i prefabbricati costituivano una trasformazione stabile e non temporanea del suolo agricolo, incompatibile con la disciplina della SCIA.
L’unico titolo edilizio valido era, quindi, il permesso di costruire.


La natura precaria non esclude l’abuso edilizio

La difesa degli appellanti si fondava anche sulla amovibilità dei manufatti, considerata indice di precarietà.
Il Consiglio di Stato ha respinto questa tesi, precisando che la natura precaria dipende dalla durata dell’uso e non dalla facilità di rimozione.
Un’opera amovibile può comunque configurare una costruzione abusiva se destinata a un uso continuativo.


La decisione finale

Il Consiglio di Stato ha quindi confermato:

  • la legittimità dell’ordinanza di demolizione;

  • la necessità del permesso di costruire per tutte le opere realizzate;

  • la responsabilità del proprietario e della società detentrice;

  • l’inapplicabilità della SCIA in presenza di trasformazioni permanenti del suolo.


In sintesi

La sentenza n. 6941/2025 ribadisce che anche piazzali, prefabbricati, serre e container possono configurare una nuova costruzione quando comportano una trasformazione stabile del terreno agricolo.
In tali casi, il titolo edilizio richiesto è sempre il permesso di costruire, indipendentemente dalla natura leggera o amovibile delle opere.

fonte: cosmocostruzioni.it