Seleziona una pagina

Il caso

Nel settore edilizio, non tutte le aperture realizzate sulle pareti di un edificio hanno la stessa rilevanza giuridica.
La distinzione tra luci, vedute e porte incide direttamente sull’applicazione delle distanze minime tra edifici, regolate dall’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444.

A chiarire nuovamente la questione è intervenuto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7207/2025, relativa a un contenzioso tra due imprese del settore funerario del Friuli Venezia Giulia.
La società appellante contestava la legittimità del titolo edilizio rilasciato dal Comune per la ristrutturazione e ampliamento di una casa funeraria, lamentando la violazione delle distanze legali tra edifici, in particolare per la presenza di porte e finestre considerate “pareti finestrate” ai sensi di legge.


Le censure sollevate

L’appellante sosteneva che:

  • alcune porte e finestre dell’edificio autorizzato configurassero vedute, rilevanti ai fini della distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate (art. 9 D.M. 1444/1968);

  • la porta di ingresso consentisse un affaccio diretto e quindi dovesse essere assimilata a una veduta;

  • l’intervento violasse anche la distanza minima di 50 metri prevista dalla normativa regionale per le case funerarie rispetto a strutture sanitarie pubbliche.


Le difese del Comune e della controparte

Il Comune e la società resistente hanno ribattuto che:

  • le aperture contestate erano in realtà luci: finestre poste in alto, con vetri opachi e senza possibilità di affaccio;

  • la porta di emergenza non consentiva né inspectio (guardare frontalmente) né prospectio (guardare obliquamente o lateralmente), e quindi non costituiva una veduta;

  • l’edificio, a seguito di una SCIA integrativa, rispettava le distanze legali;

  • la distanza di 50 metri doveva essere calcolata dal luogo fisico dove si svolge concretamente l’attività funeraria, non dai piazzali esterni o pertinenze prive di rilevanza igienico-sanitaria.


La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso, confermando la correttezza dell’operato del Comune e chiarendo alcuni principi fondamentali:

  1. Le distanze minime tra edifici si applicano solo alle pareti munite di vedute.
    Sono tali le aperture che consentono non solo la inspectio (visione frontale), ma anche la prospectio (visione obliqua e laterale).
    ➤ Riferimenti: Cass. civ., Sez. II, n. 26383/2016; n. 14730/2022; n. 22907/2025.
  2. Luci e porte senza possibilità di affaccio non sono considerate vedute.
    Pertanto, non rientrano nella definizione di “pareti finestrate” ai sensi dell’art. 9 del D.M. 1444/1968.
  3. La porta di emergenza antipanico oggetto del contenzioso è stata qualificata come porta cieca, priva di affaccio, e dunque esclusa dal calcolo delle distanze.
  4. La distanza di 50 metri dalle strutture sanitarie va riferita alla sede effettiva dell’attività, non a piazzali o pertinenze esterne.

In sintesi

Il Consiglio di Stato ribadisce che non ogni apertura è una veduta:

  • le luci (finestre alte, opache o non apribili) e le porte di emergenza non generano diritti di veduta;

  • solo le aperture che permettono l’affaccio e la visuale sul fondo del vicino (inspectio e prospectio) impongono il rispetto della distanza minima di 10 metri tra pareti.

Una precisazione importante per progettisti, tecnici e amministrazioni comunali, chiamati a valutare correttamente la qualificazione delle aperture ai fini del rispetto delle distanze edilizie e igienico-sanitarie

fonte: dgscavi.it